FIORENZO, DIOCLEZIANO, SISINIO E MASSIMO
I SANTI MARTIRI OSIMANI
INTRODUZIONE
La nostra Parrocchia ha l’onore di avere in custodia la Chiesa dei SS. Martiri Osimani, la chiesa sorta nel luogo in cui i primi cristiani, venuti ad Osimo dall’Asia per evangelizzare il nostro Paese, Sisinio diacono, Fiorenzo e Diocleziono che furono uccisi l’11 maggio 304 con un giovane osimano. Un altro evento avvenne in questo luogo ricco di grazie, l’episodio della pecorella di San Francesco riportato dal Celano nelle Fonti Francescane.
LA CHIESA
Questa chiesa si trova in via Roncisvalle alle falde del Borgo San Giacomo verso Nord, costruita nel luogo in cui furono lapidati Fidenzio, Sisinio, Diocleziano e un giovane discepolo l’11 maggio 304 per istigazione dei sacerdoti pagani. Ogni anno, l’11 maggio, l’intera comunità osimana si riunisce con grande partecipazione per rinnovare la commemorazione di questi santi.
Dopo l’editto di Costantino, la loro tomba venne tramutata in chiesa finché, nel XI sec., vennero i Benedettini che ne costruirono una più bella intitolandola, inizialmente ai Ss. Fidenzio e Compagni Martiri, poi a S. Fidenzio Martire.[1]
I Benedettini non rimasero a lungo, infatti, già nel 1361 vi erano subentrati i Silvestrini che rimasero fino a poco dopo il sacco subito dalla città dai Bretoni nel 1376 in cui venne danneggiata la Chiesa stessa.[2]
Nel 1444, dopo che i corpi dei santi martiri furono traslati in Cattedrale e deposti in un altare a ridosso della torre campanaria[3], la chiesa venne demolita.[4] Su questa area venne eretta una nuova chiesa dedicata ai Ss. Martiri e, verso la fine del XVI secolo, vi fu trasportato il dipinto del Crocifisso, che nel 1521 emanò sangue[5], della vicinissima chiesa S. Maria di Roncisvalle, ormai anch’essa demolita.[6]
Nel 1590, il vescovo Fiorenzi, fece trasportare le reliquie nella cripta della Cattedrale dove sono tuttora.[7]
Nel 1751, quando furono ritrovate le teste dei martiri in una nicchia della chiesa di Roncisvalle, furono portate solennemente in Cattedrale, per essere unite ai corpi traslati tre secoli prima.
L’attuale chiesa che oggi vediamo è stata fatta edificare dal Card. Calcagnini nel 1794 sul luogo della ormai cadente chiesa dei Ss. Martiri.[8]
Attualmente le loro reliquie sono conservate nel più ricco altare, una magnifica opera scultoria del V-VI secolo.[9], della cripta del Duomo della città.
IL MARTIRIO
I martiri Osimani, prima con l’esempio e la parola, poi con il proprio sangue diffuso il Cristianesimo nelle nostre terre.[10]
Fiorenzo, Sisinio e Diocleziano predicarono per tre anni[11] prima della loro morte riuscendo a far conoscere la Verità in Cristo al popolo. Il loro operato, però, infuriò i sacerdoti pagani della zona che, vedendo svuotarsi i loro tempi, decisero di porre fine alla vita di quei tre umili seguaci di Cristo.
Usarono un’astuzia: fecero circolare la voce che l’oracolo non avrebbe più risposto alle domande finché quei tre forestieri non sarebbero stati sacrificati. Incitati da questa voce, il popolo pagano si precipitò alla dimora dei tre futuri martiri, furono presi e condotti davanti all’altare degli idoli e venne loro ordinato di bruciare incenso davanti a questa divinità, naturalmente, i tre si rifiutarono e, tra spinte e insulti, furono condotti fuori dalla città, proprio come Gesù Cristo. Un giovane discepolo, s’imbatte nella pietosa scena e si unì ai tre nella comune sorte: la lapidazione.[12]
Le salme furono prese da alcuni amici che ne ebbero pietà senza ostacolo dei pagani, in quanto era loro usanza non inferire sui cadaveri, e i loro corpi furono sepolti nel luogo del loro martirio.
I corpi però non sono solo quattro nell’urna, bensì cinque in quanto fu unite loro le reliquie di San Massimo martire, ucciso a Roma sulla via Salaria, che viene ricordato tra i Martiri Osimani l’11 maggio.[13]
Il loro martirio fece fiorire il Cristianesimo in Osimo grazie anche all’Editto di Milano (313), con il quale Costantino e Licinio riconoscevano la libertà di professare alla Chiesa la propria fede pubblicamente. La comunità cattolica osimana è cresciuta sempre più vedendo in essa fiorire santi sacerdoti, vescovi, congregazioni, confraternite per la maggior gloria di Dio.
SAN FRANCESCO E LA PECORELLA
San Francesco visitò la nostra città ben due volte.
Della prima abbiamo una narrazione del 1215:
‹‹[…]Salutando finalmente Fabriano, il S. Padre (Francesco) pervenne in Osimo, vetusta città del Piceno chiamata da Livio Oximum che, sita in un colle a pie del quale scorre il fiume Musone, dista 10 miglia dal mare Adriatico. Gli abitanti di questa città, come appresero che il Santo si avvicinava alle loro mura, gli mossero incontro e, benché egli rifiutasse ogni onore, lo scortarono fin nella città con tutti gli onori che poterono. Il giorno dopo, tanto mirabilmente egli seppe persuadere al disprezzo delle pompe, lodi e vanità mondane, che subito trenta giovani prendendo in uggia tutto ciò che l’uomo santo aveva additato allo spregio, si legarono sotto la sua istituzione al servizio di Dio; gli altri poi, pentiti nell’intimo del cuore, pensarono in vario modo a riformare i propri costumi. Di qua pervenne in Ancona[…]››.[14]
Della seconda invece ne abbiamo l’autorevole testimonianza di Tommaso del Celano nel 1220:
‹‹ 77.[…]Attraversando una volta la Marca d’Ancona, dopo aver predicato nella stessa città, e dirigendosi verso Osimo, in compagnia di frate Paolo, che aveva eletto ministro di tutti i frati di quella provincia, incontrò nella campagna un pastore, che pascolava il suo gregge di montoni e di capre. In mezzo al branco c’era una sola pecorella, che tutta quieta e umile brucava l’erba. Appena la vide, Francesco si fermò, e quasi avesse avuto una stretta al cuore, pieno di compassione disse al fratello: «Vedi quella pecorella sola e mite tra i caproni? Il Signore nostro Gesù Cristo, circondato e braccato dai farisei e dai sinedriti, doveva proprio apparire come quell’umile creatura. Per questo ti prego, figlio mio, per amore di Lui, sii anche tu pieno di compassione, compriamola e portiamola via da queste capre e da questi caproni ».
78. Frate Paolo si sentì trascinato dalla commovente pietà del beato padre; ma non possedendo altro che le due ruvide tonache di cui erano vestiti, non sapevano come effettuare l’acquisto; ed ecco sopraggiungere un mercante e offrir loro il prezzo necessario. Ed essi, ringraziandone Dio, proseguirono il viaggio verso Osimo prendendo con sé la pecorina. Arrivati a Osimo si recarono dal vescovo della città, che li accolse con grande riverenza. Non seppe però celare la sua sorpresa nel vedersi davanti quella pecorina che Francesco si tirava dietro con tanto affetto. Appena tuttavia il servo del Signore gli ebbe raccontato una lunga parabola circa la pecora, tutto compunto il vescovo davanti alla purezza e semplicità di cuore del servo di Dio, ne ringraziò il Signore. Il giorno dopo, ripreso il cammino, Francesco pensava alla maniera migliore di sistemare la pecorella, e per suggerimento del fratello che l’accompagnava, l’affidò alle claustrali di San Severino, che accettarono il dono della pecorina con grande gioia come un dono del cielo, ne ebbero amorosa cura per lungo tempo, e poi con la sua lana tesserono una tonaca che mandarono a Francesco mentre teneva un capitolo alla Porziuncola. Il Santo l’accolse con devozione e festosamente si stringeva la tonaca al cuore e la baciava, invitando tutti ad allietarsi con lui››.[15]
A testimonianza di quest’evento vi è anche una lapide all’esterno della Chiesa.
Questo evento di altissima contemplazione del Creato immagine di Dio, purtroppo troppo spesso manipolato nel senso dagli animalisti, ci mostra come il Santo, in ogni cosa vedeva l’immagine di Dio quindi non provava un sentimentalismo terreno verso le creature inferiori, ma, in ogni cosa e in ogni essere, rivede Cristo: guardando l’albero fatto di legno, pensava alla Croce, guardando un semplice vermicello, pensava a Dio che si è umiliato come se fosse un verme, facendosi uomo.