Un’ombra dolciastra e sentimentalista aleggia attorno al patrono d’Italia, San Francesco d’Assisi, la cui festa si celebra questo mese. Ai bambini spesso lo si descrive come un matto mansueto che in solitudine parlava con gli animali e agli adulti si racconta che fosse ossessionato dalla povertà materiale, alla quale anteponeva, come preoccupazione, quella spirituale. L’ideologo della povertà e del buonismo, insomma. Frank Rega, autore del recente libro “Saint Francis of Assisi and the Conversion of the Muslims” ha affermato: «se volete ridurre questo santo ad un assistente sociale glorificato, un amante della natura e definirlo il primo hippie della storia, state facendo un pessimo servizio alla sua vera eredità».
Dario Fo è uno di coloro che hanno più diffuso il tradimento di San Francesco in Italia. Tuttavia anche Papa Francesco, che in suo onore ha voluto chiamarsi così, lo ha ripetuto tante volte: «La pace francescana», ha affermato ad esempio nel suo viaggio ad Assisi del 2013, «non è un sentimento sdolcinato. Per favore: questo san Francesco non esiste! E neppure è una specie di armonia panteistica con le energie del cosmo… Anche questo non è francescano! Anche questo non è francescano, ma è un’idea che alcuni hanno costruito! La pace di san Francesco è quella di Cristo, e la trova chi “prende su di sé” il suo “giogo” […] Per favore: questo san Francesco non esiste!».
Come ha ben spiegato il sociologo Giuliano Guzzo, non esiste alcun Francesco che ideologizzava la povertà, il suo obiettivo era la vanità, il rimanere legati a quel che si possiede ma non ha mai demonizzato i materiali preziosi. Francesco era sì povero (“il poverello”), ma pretendeva che le chiese fossero ricche: eppure oggi molti utilizzano la sontuosità degli edifici di culto, dei paramenti sacri, dei calici d’oro come strumento di attacco alla Chiesa cattolica sostenendo, invece, che sia necessario “tornare ad una povertà francescana”. Ma San Francesco non avrebbe mai tollerato che l’Eucarestia fosse posata in un calice non di oro e che le chiese fossero spoglie, egli infatti raccomandava esplicitamente: «Vi prego […] i calici, i corporali, gli ornamenti dell’altare e tutto ciò che serve al sacrificio, devono essere preziosi. E se in qualche luogo trovassero il santissimo corpo del Signore collocato in modo miserevole, venga da essi posto e custodito in un luogo prezioso, secondo le disposizioni della Chiesa, e sia portato con grande venerazione e amministrato agli altri con discrezione» (Prima lettera ai Custodi).
Priva di fondamento è anche l’idea che fosse un ingenuo buonista, lo si evince ad esempio dagli scritti di Tommaso da Celano (1200-1270). Francesco, informato della presenza di detrattori del suo Ordine, si rivolse al suo vicario, frate Pietro di Cattaneo, intimandogli quanto segue:«Coraggio, muoviti, esamina diligentemente e, se troverai innocente un frate che sia stato accusato, punisci l’accusatore con un severo ed esemplare castigo! Consegnalo nelle mani del pugile di Firenze, se tu personalmente non sei in grado di punirlo [chiamava col nome di pugilatore frate Giovanni di Firenze, uomo di imponente statura e dl grandi forze, nda]». A mali estremi estremi rimedi, si potrebbe dire. In ogni caso un atteggiamento ben lontano dall’immagine mielosa che gli è stata cucita addosso.
Non esiste nemmeno un Francesco d’Assisi sincretista, indifferente all’evangelizzazione cristiana. Sostenitore delle Crociate, è famoso il suo confronto durante una crociata nel 1219 con il Sultano Malik al-Kami durante il quale, semplicemente, tentò di convertirlo, come è evidente dal tenore del suo discorso: «I cristiani agiscono secondo massima giustizia quando vi combattono, perché voi avete invaso delle terre cristiane e conquistato Gerusalemme, progettate di invadere l’Europa intera, oltraggiate il Santo Sepolcro, distruggete chiese, uccidete tutti i cristiani che vi capitano tra le mani, bestemmiate il nome di Cristo e vi adoperate ad allontanare dalla sua religione quanti uomini potete. Se invece voi voleste conoscere, confessare, adorare, o magari solo rispettare il Creatore e Redentore del mondo e lasciare in pace i cristiani, allora essi vi amerebbero come se stessi». Francesco, se si leggono i suoi scritti durante le Crociate, denuncia l’Islam come una religione falsa che porta alla dannazione.
Sfatiamo, infine, la cosiddetta “Preghiera semplice di San Francesco”, una tra le più famose del mondo per la sua sdolcinatezza sessantottina (della serie “mettete i fiori nei vostri cannoni”): è quella che inizia con “Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace. Dove è odio, fa’ che io porti l’amore…”. San Francesco non l’ha mai scritta, si tratta di un testo di inizio Novecento e non è stata neppure scritta da un frate francescano. In effetti, come hanno appurato gli studiosi, sarebbe difficile attribuire a Francesco una preghiera in cui Gesù Cristo non è neppure nominato o che non faccia riferimenti alla Bibbia o nella liturgia cattolica. L’equivoco è nato perché il testo, la cui data di composizione e l’autore sono incerti, fu fatto stampare sul retro di una immaginetta di San Francesco nel 1918 da padre Etienne Benoit perché gli sembrava che la “Preghiera semplice” richiamasse tutti i valori di cui Francesco era stato portatore in vita.
(pubblicato in “Il Giudizio Cattolico” il 27 ottobre 2014 )